lunedì 30 giugno 2008

Troppa grazia Padre Pio

Bluvertigo
27/06/2008







MARTA sui TUBI

28/06/2008




giovedì 26 giugno 2008

A gratisse

Pete and the Pirates







Sono di Ancona, sono bellocci, hanno il ciuffo dalla parte giusta, le maglie con le righe giuste, suonano come un copia e incolla di Artic Monkeys e Libertines e altre robe inglesi.
Mi chiedo come mai MTV non li ha ancora fatti suoi?
Aspetto con ansia....

martedì 24 giugno 2008

E venne il giorno...


...che Marchionne pagò un botto di soldi per mettere una Punto sulla locandina.

lunedì 23 giugno 2008

Wii Can.

Provata finalmente.
Come sospettavo una figata.



Ma quando metti la testa a posto?

giovedì 19 giugno 2008

Basta poco

per fare un bel film.

Una storia d'amore, una chitarra, un pianoforte e .....un'aspirapolvere.

Once

dimenticavo, anche una gran bella canzone.

Glen Hansard and Marketa Irglova - Falling Slowly


Found at skreemr.com

mercoledì 18 giugno 2008

Lacrime e Rose

Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia.
Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti.
Lo. Li. Ta.
Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti.
Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.

Verso la fine di luglio del 1959 (il mio diario tascabile non riferisce la data precisa), in Arizona, dove io e mia moglie eravamo a caccia di farfalle, con quartier generale a Forest Houses (tra Flagstaff e Sedona), ricevetti via Irving Lazar, che mi rappresentava, un messaggio da parte dei Sig.ri Harris & Kubrick. Avevano acquistato i diritti cinematografici di Lolita nel 1958, e mi chiedevano ora di raggiungerli a Hollywood per scriverne la sceneggiatura. L'onorario offerto era ragguardevole, ma l'idea di rimanipolare un mio romanzo suscitava in me soltanto disgusto. Una certa stasi nelle attività dei lepidotteri indigeni suggeriva, comunque, l'opportunità di salire in macchina e proseguire in direzione della West Coast. Dopo un incontro a Beverly Hills (durante il quale mi fu detto che, al fine di tranquillizzare il censore, non ci sarebbe stata male l'aggiunta di una scena con pudiche allusioni a un Humbert fin dall'inizio segretamente sposato con Lolita) seguito da una settimana di sterili meditazioni in riva al lago Tahoe (dove una malaugurata sovrabbondanza di manzanita impediva la presenza di buone farfalle) decisi di non intraprendere il lavoro e partii per l'Europa.

Soggiornammo a Parigi, Londra, Roma, Taormina, Genova e Lugano, dove arrivammo per una permanenza di una settimana il 9 dicembre (Grand Hotel, stanze 317-318, dice la mia agenda del 1959, che si fa ora più loquace). Avevo smesso ormai da tempo di pensare al film, quando ebbi all'improvviso l'esperienza di un'illuminazioncella notturna, di origine diabolica forse, ma inusitatamente incisiva nella sua vivida perentorietà, e percepii chiaramente un'allettante via di affrontare una versione cinematografica di Lolita. Mi pentivo di aver dovuto riflutare l'offerta, e andavo vanamente rimuginando brani di dialogo onirico, quando per magia mi arrivò un telegramma da Hollywood, che mi esortava a rivedere la mia primitiva decisione, promettendomi più mano libera.

Passammo il resto dell'inverno a Milano, a San Remo e a Mentone, e giovedì 18 febbraio 1960 partimmo per Parigi (2 singole Mentone-Parigi, letti 6 e 8, carrozza 9, partenza 19.15, arrivo 8.55, informazioni, queste e altre, che vengono riportate non solo per gusto mnemonico, ma anche perché non ho cuore di abbandonarle, neglette e inutilizzate). Il primo tratto del lungo viaggio verso Los Angeles cominciò con una gag piuttosto infausta: quell'accidenti di vagone-letto si fermò prima di arrivare al marciapiede, tra le mimose e i cipressi, nell'eleganza acquarellosa di una serata in Costa Azzurra, e io, mia moglie e un facchino ormai quasi fuori di sé dovemmo sciamare da livello terra a livello treno per poterci imbarcare.

La sera dopo eravamo a Le Havre, sull' United States. Avevamo prenotato una cabina (la 61) sul ponte superiore ma fummo trasferiti senza sovrapprezzo, con omaggio di frutta e whiskey, in una squisita suite (la 65), offerta da una squisita direzione - una delle tante carinerie riservate agli scrittori americani. Sabato 27 febbraio, dopo quattro intense giornate newyorkesi, partimmo per Chicago (ore 22.00, carrozza 551, scompartimenti-letto en suite E-F, appunti ameni, innocenti minuzie di una volta!) e la sera dopo salimmo a bordo del Super Chief, sul quale la puntata seguente della nostra serie di scompartimenti-letto ci accolse con una doppia esplosione di musica, laonde ci precipitammo frenetici a bloccare, soffocare, eliminare, annientare l'odioso ordigno e, non trovandone l'interruttore, fummo costretti a invocare aiuto (beninteso, la situazione è di gran lunga peggiore sui treni sovietici, dove vige il divieto assoluto di spegnere la muzakovitch).

Il 1° marzo, io e Kubrick, negli stabilimenti di Universal City, nel corso di un'amabile tenzone di suggerimenti e controsuggerimenti, discutemmo su come cinematizzare il romanzo. Lui accettò tutti i miei punti d'importanza vitale, io accettai, dei suoi, i meno significativi. La mattina dopo, seduto su una panchina sotto un Pyrospodia di un bel color giallo-verde acceso, in un giardino pubblico non lontano dal Beverly Hills Hotel (dove Irving Lazar aveva preso un cottage per noi) mi ero già messo d'impegno a elaborare le battute e le azioni che mi giravano per la testa. Il 9 marzo, Kubrick ci presentò Tuesday Weld (una leggiadra attrice giovane, ma non il mio ideale di Lolita). Il 10 marzo affittammo dal defunto John Francis Fay una gradevole villa (2088 Mandeville Canyon Road). L'11 marzo, Kubrick mi inviò per corriere un sommario profilo delle scene su cui io e lui ci eravamo accordati: comprendevano la Prima Parte del romanzo. A quel punto il comportamento di Kubrick mi aveva fatto capire che egli era più ben disposto verso i miei capricci che non verso quelli della censura.

Nei mesi seguenti i nostri incontri furono piuttosto rari - più o meno uno ogni due settimane, da me o da lui; i profili cessarono del tutto, critiche e consigli si fecero sempre più succinti, e per la metà dell'estate non ero più sicuro se Kubrick stesse serenamente accettando qualunque cosa io facessi o silenziosamente bocciando il tutto.

Lavoravo con gusto, componendo mentalmente ogni mattina dalle otto a mezzogiorno mentre andavo a caccia di farfalle per colline afose, che, a parte qualche esemplare particolarmente irrequieto di una rara Ninfa di Bosco, non elargivano alcunché di interessante, ma brulicavano per contro di serpenti a sonagli, le cui isteriche esibizioni tra la sterpaglia o nel mezzo di un sentiero facevano un effetto più comico che allarmante. Dopo una tranquilla colazione, approntata dalla cuoca tedesca in dotazione alla casa, passavo un altro periodo di quattro ore su una sedia a sdraio, tra rose e mimi, armato di schede a righe e matita Blackwing, a copiare e ricopiare, cancellare e riscrivere le scene immaginate durante il mattino.

Di natura, non sono autore drammatico; e neanche uno sceneggiatore praticone; ma se mi fossi dato al palcoscenico o allo schermo tanto quanto mi sono dato al genere di scrittura che sconta il suo trionfale ergastolo dentro la copertina di un libro, avrei propugnato e messo in opera un regime di totale tirannia, dirigendo io stesso il film o la commedia, scegliendo scenografia e costumi, terrorizzando gli attori, confondendomi tra loro in ruoli secondari di ospite o di spettro, suggerendo loro la parte: in una parola, permeando l'intero spettacolo del volere e dell'arte di un individuo unico - poiché non c'è niente al mondo che mi sia più odioso dell'attività di gruppo, quel bagno collettivo dove villosi e viscidi fraternizzano, in un moltiplicarsi di mediocrità. Tutto ciò che potevo permettermi, nel caso, era di stabilire il primato delle parole sull'azione, limitando così al massimo le interferenze della committenza e del cast. Perseverai nell'assunto, fino a rendermi tollerabile il ritmo dei dialoghi e a controllare il flusso del film da motel a motel, da miraggio a miraggio, da incubo a incubo. Già molto prima, a Lugano, avevo abbozzato la sequenza dell'Albergo dei Cacciatori Incantati, ma ora il meccanismo preciso atto a rendere, attraverso un gioco trasparente di effetti sonori e di inquadrature particolari, sia una mattinata come tante altre, sia un momento cruciale della vita di un pervertito disperato e di una misera bimba, si rivelava oltremodo difficile da regolare. Poche scene qua e là (per esempio la casa fantasma di McCoo, le tre ninfe sul bordo della piscina, o Diana Fowler quando rimette in moto il ciclo fatale che era già stato di Charlotte Haze) sono basate su materiale inedito che avevo conservato dopo aver distrutto il manoscritto del mio romanzo: operazione, questa, di cui mi pento meno che del fatto di aver eliminato quei brani.

Alla fine di giugno, dopo aver esaurito più di mille schede, ne feci fare un dattiloscritto e inviai a Kubrick le quattrocento pagine che ne erano risultate; quindi, bisognoso di riposo, fui portato da mia moglie, in un'Impala a noleggio, nella contea di Inyo, per un breve soggiorno al Glacier Lodge, sul Big Pine Creek, dove, nelle montagne circostanti, catturammo Inyo Blu e altre creaturine. Tornati a Mandeville Canyon, ricevemmo una visita di Kubrick, il quale mi disse che la sceneggiatura era di gran lunga troppo macchinosa, che conteneva troppi episodi superflui, e che ci sarebbe voluto un film di sette ore. Mi richiedeva alcuni tagli e altri cambiamenti, che in effetti apportai, oltre a escogitare nuove sequenze e situazioni, preparando un copione più breve che gli pervenne in settembre e che lui definì buono. L'ultimo tratto di questo percorso durato sei mesi fu il più impervio, ma anche il più entusiasmante. Dieci anni dopo, però, ho riletto la mia sceneggiatura e ho reinserito alcune scene.

L'ultimo incontro con Kubrick deve essere avvenuto il 25 settembre 1960, nella sua casa di Beverly Hills: quel giorno mi mostrò alcune foto di Sue Lyon, pudibonda ninfetta sui quattordici, che a detta di Kubrick poteva essere facilmente resa piu giovane e sciatta nel ruolo di Lolita per il quale era già stata scritturata. Nell'insieme, mi sentivo abbastanza contento di come erano andate le cose, quando nel pomeriggio del 12 ottobre io e mia moglie salimmo sul Super Chief (scompartimenti letto E-F, carrozza 181) per Chicago, dove cambiammo per il Twentieth Century (scompartimenti letto J-K, carrozza 261), raggiungendo New York alle 8.30 del 15 ottobre. Nel corso di quel meraviglioso viaggio - l'annotazione seguente può emozionare solo gli extrasensorialisti più accaniti - feci un sogno (13 ottobre) in cui vidi scritto: "Hanno detto alla radio che lei è spontanea come Sarah Footer." Non ho mai conosciuto nessuno che si chiamasse così.

Il compiacimento è uno stato d'animo che è autentico solo se visto in retrospettiva: lo si deve infrangere prima di poterlo constatare. Il mio avrebbe resistito un anno e mezzo. Fin già dal 28 ottobre (New York, Hampshire House, stanza 503) trovo nel mio libriccino, annotato a matita, il seguente progetto: "Un romanzo, una vita, un amore - solo il minuzioso commento a un breve poemetto che si dipana man mano." Appena la Queen Elizabeth ("Comprare filo interdentale, nuovo pince-nez, Bonamina, controllare con direttore bagagliaio baulone nero su molo prima dell'imbarco, ponte A, cabina 71") ci depositò a Cherbourg il 7 novembre, il "breve poemetto" cominciò a diventare piuttosto lungo. Quattro giorni dopo, al Principe e Savoia di Milano, e poi per tutto il resto dell'inverno, in un appartamento affittato a Nizza (57 Promenade des Anglais) e quindi nel Ticino, nel Valais e nel Vaud (10 ottobre 1961, trasferiti al Montreux Palace) rimasi immerso in Fuoco pallido che completai il 4 dicembre 1961. La lepidotterologia, il lavoro sulle bozze di quel mammut del mio Evgenij Onegin, e la revisione di una traduzione difficile (Il dono) si presero la primavera del 1962, passata per lo più a Montreux, cosicché (a parte il fatto che nessuno insisteva a ciò che io andassi a Elstree) le riprese del film di Lolita, in Inghilterra, iniziarono e si conclusero ben oltre il velo delle mie vanità.

Il 31 maggio 1962 (quasi ventidue anni dopo che eravamo emigrati da St. Nazaire, a bordo dello Champlain), la Queen Elizabeth ci portò a New York per la prima di Lolita. La nostra cabina (ponte principale, cabina 95) era altrettanto comoda che quella dello Champlain nel 1940, e inoltre, a un cocktail-party offerto dal commissano di bordo (o dal chirurgo di bordo, i miei scarabocchi sono illeggibili), questi mi apostrofò dicendomi: "Ora lei, da uomo d'affari americano, troverà questa storia molto divertente" (storia non riportata). Il 6 giugno rivisitai quel luogo consueto, il dipartimento di entomologia del Museo Americano di Stona Naturale, dove depositai gli esemplari di Callophrys avis di Chapman che avevo catturato in aprile tra Nizza e Grasse, sotto i corbezzoli. La prima ebbe luogo il 13 giugno (Loew's State, Broadway e Quarantacinquesima, E 2 + 4 platea, "posti orribili" dice senza peli sulla lingua la mia agenda). La folla dava la posta alle limousine che approdavano una a una, e dentro una di quelle c'ero anch'io, entusiasta e innocente come i fans che ne sbirciavano l'interno sperando di intravedere James Mason ma trovandoci solo il placido profilo di una controfigura di Hitchcock. Qualche giorno prima, a una proiezione privata, avevo scoperto che Kubrick era un grande regista, che Lolita era un film di prima qualità con attori magnifici, e che della mia sceneggiatura erano stati usati solo brandelli sparsi. Le modifiche, il travisamento delle mie trovate migliori, l'omissione di intere scene, l'aggiunta di altre, e ogni genere di cambiamenti ulteriori, non erano forse sufficienti a far cancellare il mio nome dai titoli di testa ma di certo rendevano il film tanto infedele alla sceneggiatura originale quanto lo sono certe traduzioni di Rimbaud e Pasternak fatte da un poeta americano.

Mi affretto ad aggiungere che queste ultime osservazioni non vanno assolutamente interpretate quale riflesso di un tardivo rancore, di uno stridulo biasimo nei confronti dell'approccio creativo di Kubrick. Nel travasare Lolita su schermo sonoro, lui vedeva il mio romanzo in un modo, io in un altro: tutto qui, né si può negare che un'assoluta fedeltà può anche essere l'ideale per un autore, ma per il produttore può risultare rovinosa.

La mia prima reazione al film fu un misto di irritazione, rammarico, e restio godimento. Più d'un'intrusione (quale la macabra sequenza del ping-pong o l'estatica sorsata di scotch nella vasca da bagno) mi parve azzeccata e spiritosa. Penose, però, altre (quali il crollo della brandina pieghevole o i fronzoli dell'arzigogolata camicia da notte della signorina Lyon). Le sequenze, per lo più, non erano certo migliori di quelle da me pensate con tanta cura per Kubrick, e mi pentii amaramente del tempo perso, pur ammirando la saldezza di Kubrick, nel sopportare per sei mesi l'evoluzione e la somministrazione di un prodotto inutile.

Ma mi sbagliavo. Rammarico e irritazione si placarono presto al ricordo dell'ispirazione tra le colline, la sedia a sdraio sotto la jacaranda, la spinta interiore, la luce, senza le quali non avrei portato a termine il compito. Mi dissi che dopotutto nulla era andato perso, che la mia sceneggiatura restava intatta nella sua custodia e che un giorno l'avrei potuta pubblicare: non come meschina confutazione di un film dovizioso ma semplicemente come vivace variante di un vecchio romanzo.

Montreux
Dicembre 1973

Prefazione di Vladimir Nabokov
Lolita: Una Sceneggiatura, Bompiani, 1997

lunedì 16 giugno 2008

Wir Tanzen Im Viereck

STEREO TOTAL
Wir Tanzen Im Viereck



Anno: 2002
Durata: 2:18


Adoro questo video.


sabato 14 giugno 2008

Previously of LOST


Dal minuto 76.34 dell'ultima puntata della quarta stagione di Lost:

"Non temete la puntata non è ancora finita. Approfittiamo dello spazio per ringraziare tutti ringraziarvi per aver seguito Lost con noi, sappiamo che ci volete bene.
Ci vediamo ancora sull'isola a Gennaio con la quinta stagione.
Grazie di tutto.
Il team di Lost!
-Italian Sub Addicted-"

Io e il mio friend of Lost abbiamo pensato commossi:
"è vero vi vogliamo bene e grazie di tutto"

venerdì 13 giugno 2008

Carrie Bradshaw knows good sex


Dopo 94 episodi suddivi in

1 Serie (8)
2 Serie (7)
3 Serie (8-9 )
4 Serie (7-8)
5 Serie (6)
6 Serie (8)

visti in un mese, dei quali alcuni erano la terza o quarta volta che li vedevo, considerando i 140 minuti del film, la mia domanda è:

Io conosco good sex o dovrò applicarmi con questa Carrie Bradshaw?
Il film è veramene delizioso, un classico film americano moderno, che ha dalla sua una scrittura brillante e dei personaggi ben delineati, alucune volte è un pò piacione, altre scontanto, ma il brio e il ritmo rimane costante per tutta la durata.
Loro poi sono sempre fantastiche(l'unico caso in cui più invecchiano più diventano fighe): Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte rappresentano quei personaggi alla perfezione con i loro pregi, tic e passioni.
Impossibile non amarlo per chi è un fan della serie.

mercoledì 11 giugno 2008

One Shot


How will I know what makes me feel a good man ?
is it stuff that I can keep from tellin you?
how will we know how it feels to be stone cold?
floatin’ way above the stars

a storm is blowing on fields of golden sands
try to stop it if you can
c’mon get in!
what looks so good can hurt so bad

now that we've learned about the feeling of being stone cold
we're floating way above the stars
what looks so good can hurt so bad

yessir i heard
but i feel my fingers just like icicles
yellow and blue

what looks so good can hurt so bad



(Yuppie Flu - Toast Master )

martedì 10 giugno 2008

Il Nerd che è in me

Non riesco a smettere di ascoltare Nude dei Radiohead suonata da un certo James Houston con:
  • Sinclair ZX Spectrum - Guitars (rhythm & lead)
  • Epson LX-81 Dot Matrix Printer - Drums
  • HP Scanjet 3c - Bass Guitar
  • Hard Drive array - Act as a collection of bad speakers - Vocals & FX
(pazientate per i primi 50 secondi)

Big Ideas (don't get any) from James Houston on Vimeo.

Sarà perchè anch'io avevo quello scanner.

by Inkiostro

venerdì 6 giugno 2008

Copio & incollo

La stagione musicale 2007/2008 è finita.
Restano pochi spiccioli da spendere.
Che per quanto importanti restano sempre spiccioli e dunque non saranno in grado di modificare il bilancio finale.
Che per quanto riguarda i concerti è stato abbondantemente negativo.
Tutti si professano appassionati di musica.
Tutti hanno un blog che in un modo o nell’altro ha qualcosa a che fare con la musica.
E dopo i blog ci si è inventati altro per parlare ancora di musica.
Mi sono fermato ai myspace e non ho alcuna intenzione di capire che altra roba è stata brevettata per permettere alla gente di mettersi in mostra e di far sapere agli altri cosa si sta pensando e cosa si sta facendo, utilizzando la musica come pretesto figo (figo??).
Ognuno sente la necessità di esprimere il proprio illuminato e competente parere sulla musica, al cui ascolto a quanto pare tutti dedicano una buona fetta del proprio tempo (libero e non).
Qualunque negozio, supermercati compresi, ritiene necessario far ascoltare musica a chi ha la ventura di mettere piede al suo interno.
Ogni aperitivo è disturbato dall’intervento di dj più o meno qualificati.
Eppure della musica in realtà non gliene frega un cazzo a nessuno.

E' cambiato l'approccio.
Meglio ancora: l'approccio alla musica non è cambiato, la musica non è cultura e non è passione (almeno dalle nostre parti), ma semplicemente l'ultima canzone che serve a far tremare i vetri della macchina ferma al semaforo.
Questo era e questo ancora oggi è.
Siamo noi ad essere cambiati.
Noi che dell'ascolto della musica facciamo quasi una professione (di fede).
Noi che ci proclamiamo fieramente appassionati e ci crediamo (culturalmente) superiori alla massa.
Noi che siamo amici di tutti i musicisti che contano.
Noi che facciamo parte della la scena.
Anzi che siamo la scena, qualunque cosa questa parola significhi.
Noi che frequentiamo e facciamo vivere i locali che ci piacciono.
Noi che scarichiamo tonnellate di mp3 dalla rete.
E non ascoltiamo più musica.
Non ne abbiamo materialmente il tempo.
Ma soprattutto non ne abbiamo più voglia.
L'ascolto di una canzone basta.
Come possiamo giudicare se vale la pena andare oltre?
E allora per forza si finisce ad apprezzare solo quelle musiche che si agganciano direttamente a quanto già conosciamo, quelle che presentano caratteristiche immediatamente riconoscibili dal nostro orecchio in quanto già assimilate in precedenza.
Oppure quei motivi che per la loro facilità di struttura catturano immediatamente l'attenzione.
Sin troppo facile giungere alla conclusione.
Di un disco intero, l’album come si chiamava una volta, nessuno sente più il bisogno.
Anzi spesso viene considerato un inutile ingombro per l’hard disk del proprio computer.
Una perdita di tempo che rallenta la scoperta delle due, tre tracce che si reputano necessarie per l’ascolto.
Non sto qui a lamentarmi del fatto che nessuno compera più i dischi e a domandarmi che fine farà la musica.
Il formato mp3 mi fa letteralmente cagare, pur possedendo un i-pod ed utilizzandolo con una certa frequenza sono e resterò sempre assolutamente favorevole all’oggetto materiale considerandolo insostituibile.
Punto e basta.
Questa storia non mi interessa più.
Problemi di altri.
Qui volevo solo provare a trovare una motivazione al cattivo esito della stagione concertistica che si va a concludere.
Al Covo, locale che prendo ad esempio in quanto vicino a me geograficamente nonché punto di riferimento per chi ascolta e suona la “nostra” musica, quest’anno è stato protocollato un unico sold-out (Shout Out Louds).
Sempre al Covo al venerdì, serata decretata vincente per il dance floor alternativo, si sono registrate code costanti e assai consistenti praticamente tutte le settimane.
L’importanza della canzone contro l’interesse verso la musica.
Meglio ballare che fermarsi ad ascoltare.

Qualcuno potrebbe ribattere che per i concerti si è mobilitato un pubblico mediamente esiguo perché nel corso di questa stagione non sono usciti dischi interessanti e di conseguenza non sono passati tour di gruppi di livello.
Secondo me no.
Sono usciti dischi interessanti e sono transitati gruppi più che interessanti.
Ma in pochi li conoscevano, nonostante la odierna facilità di accesso a qualunque tipo di conoscenza.
E chi li conosceva magari aveva altro di meglio da fare.
Non riesco ad immaginare cosa ci sia di meglio da fare che andare a vedere ed ascoltare un interessante (almeno sulla carta) band che suona dal vivo, però magari sì, può essere.
Magari quel qualcuno era impegnato in tavole rotonde apparecchiate per decidere quanto bello o brutto fosse il nuovo disco dei Baustelle o quanto rivoluzionaria fosse la modalità di ingresso sul mercato dell’ultimo Radiohead.

E’ che un tempo per noi questa era una missione.
Ora non è più così.
E’ semplicemente un hobby che però si decide ancora di far apparire come la cosa più importante (o quasi) della nostra vita.
Questa storia io la intendevo diversamente.
L’attitudine, cazzo.
L’ATTITUDINE!
Evidentemente è un problema solo mio, quindi non fateci caso.
Continuate a ballare, che tanto io faccio il diggei.
Anche.

Da http://sniffinglucose.blogspot.com/

giovedì 5 giugno 2008

Vorrei lavorare qui.




Per capire meglio questo delirio leggete questo articolo.
QUI per vederne altri.

mercoledì 4 giugno 2008

Breaking/strangemusic/news

Basta tanto poco per iniziare bene la giornata.


Uscirà in agosto per Jagjaguwar il primo capitolo della trilogia Thank Your Parents a firma Oneida. Frutto di tre anni di lavoro, Preteen Weaponry è formato da tre parti da ascoltare insieme e in ordine rigoroso. Registrate in momenti differenti e con differenti stati mentali ma in un unico giorno, le parti sono strumentali e vi hanno contribuito tutti i membri, passati e presenti, del gruppo. Il secondo capitolo della trilogia, di cui questo disco costituisce un'introduzione, sarà un album triplo dal titolo Rated O/i> e uscirà all'inizio del 2009…
(come posso non amarli)



Damon Albarn sta per pubblicare un disco ancora senza titolo, probabilmente a suo nome: di certo c'è che nella relizzazione sono stati coinvolti decine di musicisti, tra cui un'intera orchestra, oltre a un coro cinese di 100 elementi!


Settembre vede anche il come back degli Okkervil River con il seguito di The Stage Names, The Stand Ins previsto per il 9 in America e poco dopo in Europa. 11 pezzi in uscita sempre su Jagjaguwar, prodotti dalla band stessa e da Brian Beattie e che vede la partecipazione, tra gli altri, di Jonathan Meiburg degli Shearwater in un duetto con Will Sheff. Il disco è un vero e proprio sequel, composto di pezzi che non erano riusciti ad entrare nel precedente…

lunedì 2 giugno 2008

Pop-Fe(i)st

1

2

3

4

5

6

9 or 10
money can’t buy you back the love that you had then.
oh, oh, oh,
you’re changing your heart.

domenica 1 giugno 2008

Poche Parole.

IL DIVO



IL GENIO


Cassius - Toop Toop


Found at skreemr.com

Fottuto Genio, direi